mercoledì 18 agosto 2010

La politica industriale? L'Italia ci ha messo una pietra sopra.



Luca Venturi su Greenreport del 17 agosto 2010.

Piovono pietre. Piovono sul governo da parte del suo -sino ad ora-principale "sponsor" ovvero l'associazione dei confindustriali, che dopo il via libera dato dalla presidente Marcegaglia è proseguita con una scarica di colpi da tutti i principali settori che, dalle pagine del quotidiano di proprietà, esternano tutta la loro contrarietà alla mancanza di politiche industriali. Facendo propria la domanda retorica posta da Franco Onida, sempre sul Sole 24 ore, di dove fosse la politica industriale di questo paese.

Tanto che alla stessa domanda fatta oggi a Sergio Dompè da Marco Morino sul Sole 24 ore, il presidente di Farmindustria risponde che se lo chiede anche lui. Facendo fare - e gli va dato atto- anche autocritica all' associazione di imprese quando dice che la mancanza di una politica industriale in questo paese «non è solo colpa del governo» e che «forse anche l'industria non è stata capace di parlare con la necessaria chiarezza».

Sta di fatto che da settima potenza industriale (quale era non troppo tempo fa) l'Italia è divenuta il fanalino di coda e non solo a causa della crisi economica mondiale; per questo la mancanza di una politica industriale non può essere attribuita solo alla responsabilità di questo governo.

Ma non vi è dubbio che proprio nella fase in cui si doveva mettere in piedi una strategia per recuperare alla crisi e cogliere l'opportunità per ripensare anche il modello industriale e indirizzarlo verso una riconversione green, il governo-che non aveva nemmeno provato ad impostare scelte utili in questa direzione- ha perso il ministro dedicato e ancora non vi è traccia di chi dovrà/potrà/ vorrà sostituirlo. La delega è quindi rimasta in capo al premier - che nonostante sia lui stesso un imprenditore - è stato ed è ancora più affaccendato a risolvere problemi personali e di beghe di partito che non quelli che affliggono il paese.

Un paese che ha fatto scelte (o forse è andato solo avanti per inerzia e per l'intraprendenza di singoli settori) che lo hanno portato ad essere un produttore di beni di consumo legati alla bilancia dell'export e che, dunque proprio in un momento di crisi economica globale soffre più che mai.

Un paese che ha relegato a pochi zero virgola di percentuale rispetto alla ricchezza prodotta gli investimenti in ricerca e innovazione, quelli che hanno permesso invece alla Germania di mantenere e consolidare un'industria di produzione di beni di base che hanno retto e reggono- giocoforza -anche alla crisi, come i dati resi noti da Eurostat proprio in questi giorni dimostrano.

Lo dice lo stesso Dompè che «non si può vivere di solo export, per quanto importantissimo» anche perché il gap competitivo in termini di qualità si sta riducendo enormemente rispetto ai paesi ad economia emergente. «E' in gioco il futuro stesso della base manifatturiera del paese» avverte il presidente di Farmindustria. Parole pesanti come macigni.

E le leve che indica sono ancora una volta, la ricerca e lo sviluppo di prodotti a tecnologia più innovativa, cui potremo aggiungere il settore nel quale applicarla, ovvero quello legato ai servizi ambientali, alle energie rinnovabili, alla mobilità sostenibile e la lista potrebbe continuare.

Lo spiega bene Aldo Bonomi, sempre sul quotidiano di confindustria, raccontando dell'Expo di Shangai: «A proposito di green economy, se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulle retoriche del capitalismo per uscire dalla crisi dei subprime e dalla finanziarizzazione della vita quotidiana, padiglione per padiglione si accorgerebbe che per tutti il tema dell'ambiente che si fa economia - la manutenzione delle megalopoli, con servizi ambientalmente compatibili, dalle macchine elettriche, ibride, all'idrogeno sino alla ricerca sui nuovi materiali e sulle nuove fonti di energia- qui all'Expo di Shanghai è la retorica dominante».

Esempi ed eccellenze ne esistono anche nel nostro paese e la certosina ricerca del Sole 24 ore per metterli in evidenza è encomiabile, come è altrettanto encomiabile il lavoro che svolge Symbola nello scovarle, farle conoscere e cercare di organizzarle per avere maggiore visibilità e quindi peso. Ciò che affligge è che invece al di là di queste attività giornalistiche o culturali cui ci associamo, quello che manca e di cui non si vede traccia nel futuro prossimo è un sostegno politico da parte del governo, che anzi, vedi la vicenda degli incentivi alle rinnovabili tanto per fare un esempio, per totale mancanza di sensibilità e cultura in questo senso riesce a smontare o mettere a rischio anche quel poco che, faticosamente, governi precedenti e iniziative imprenditoriali autonome sono riusciti a mettere assieme.