lunedì 31 maggio 2010

Naufragio salvo intese.


Da Phastidio Net del 30 maggio 2010.

Oggi i quotidiani traboccano di resoconti sulla frustrazione e l’irritazione del premier nei confronti del ministro dell’Economia, reo di aver abdicato ai propri principi ed aver ceduto a suggestioni vischiane. Berlusconi rimprovera a Tremonti anche di attuare surrettiziamente un aumento della pressione fiscale, e di colpire nel Mezzogiorno l’elettorato del Pdl, mentre quello leghista uscirebbe pressoché indenne dalla manovra. Non sappiamo se le cose stanno effettivamente in questi termini, ma il dato politico di fondo è che ci troviamo di fronte ad un premier ormai commissariato dal proprio ministro dell’Economia, e sempre più dissociato dalla realtà.

La manovra è stata di fatto annunciata con la formula magica “salvo intese”, il che è un preannuncio di furibondi negoziati tra le varie anime del governo, ed un rischio di sostanziale annacquamento, che ai mercati piacerà molto, come si può immaginare. Nei fatti, rischia di essere la ripetizione della famosa “manovra da nove minuti” dello scorso anno, che poi impiegò mesi per giungere in porto. Sul piano quantitativo, la correzione è tutto fuorché epocale: meno dell’1 per cento di Pil per ognuno dei due anni di applicazione. Se qualcuno pensa che possa anche essere risolutiva, auguri. Sul piano qualitativo si tratta di misure di blocco o rinvio di spesa pubblica (come le retribuzioni dei pubblici dipendenti), e scarico sugli enti locali di oneri finanziari.

Riguardo le entrate, si conferma il rovesciamento dell’onere della prova, ed un concreto rischio di persecuzione fiscale, peraltro non necessariamente a carico dei Briatore ma anche e soprattutto dei Mario Rossi. Forse è questo che infastidisce di più il premier. Il quale tuttavia non dovrebbe parlare, visto che ha fatto trascorrere due anni (in realtà sono nove, ma non sottilizziamo) nella più completa assenza di riforme di struttura, contando sul proprio presunto carisma, sulla propaganda di Sacconi e sui tagli lineari di Tremonti, il tutto infarcito di promesse carsiche sul taglio delle imposte, che sono servite solo a inchiostrare paginate di editoriali in cui si condanna senza appello…l’opposizione.

Date le premesse, è difficile immaginare come la Lega possa ottenere il federalismo fiscale, visto che ad ognuna di queste manovre corrisponde un aumento del tasso di “derivazione” della finanza pubblica locale, ma di certo Bossi troverà la sua amata quadra, magari andando sul Monviso e minacciando la secessione, oppure dopo la promessa di introdurre corsi di laurea in dialettologia alla Cà Foscari, con contributo rigorosamente statale del MIUR. Ora è iniziata la corsa a mettere al riparo i propri giocattoli preferiti, e Gianni Letta parte in pole position con la sua amata Protezione civile, quella che arriva di notte a salvare orfani e vedove, a trattativa privata. Anche il taglio dei costi della politica, nella fattispecie i rimborsi elettorali, sembra essere stato fortemente depotenziato. Continueremo ad avere la classe politica più costosa del mondo occidentale, e forse non solo di quello, ed i numeri parlano molto chiaro.

Sono mesi che lo ripetiamo: un governo che si basi esclusivamente su tagli lineari e non sia in grado di “fare politica“, con riforme strutturali e profonde, in grado di cambiare il volto del paese, è un governo fallito. Comprendiamo la “ragioni di stato” dei ministri, che spingono a dire che “è stata tagliata la spesa pubblica improduttiva”, ma i mercati sono meno stupidi di come vengono comunemente dipinti dai politici di ogni latitudine. Resta che la manovra eserciterà un effetto ovviamente depressivo sulla domanda aggregata, non ci vuole un Ph.D. per capirlo. Se il denominatore, cioè il Pil, non viene fatto crescere, alla fine tutti i quozienti di finanza pubblica ti arrivano sui denti.

Ma il premier mostra beata svagatezza di tutto ciò. A lui basta presentarsi in pubblico e dire che ha il tasso di consenso più alto del mondo occidentale, in questo ormai stucchevolmente infantile (o meglio, senile) tormentone.

lunedì 24 maggio 2010

Le bugie del Governo sulla crisi


Sandro Trento sul blog Italia dei Valori del 23 maggio 2010.

Da oltre un anno il Governo continua a raccontante la favola che l'economia italiana è messa meglio di quelle degli altri paesi europei e che l'Italia ha risentito meno di altri della crisi finanziaria.
In realtà, nel 2009, il Prodotto interno lordo del nostro Paese è diminuito di oltre 5 punti percentuali, il tasso di disoccupazione è in continuo aumento e migliaia di imprese hanno chiuso i battenti perché non più in grado di operare.
La situazione è difficile anche dal punto di vista della finanza pubblica. Il debito pubblico italiano, di cui abbiamo già parlato in alte occasioni, è arrivato al livello record del 120% del prodotto interno lordo. E ora, da alcuni giorni, il ministro Tremonti ha annunciato la necessità di una manovra correttiva.
Si parla di una manovra che per il biennio 2011-2012 dovrà raccogliere circa 25 miliardi di euro, quasi 2 punti di Pil. Dunque, non era vero che le cose andavano bene. Non era vero che era tutto quanto in ordine, poiché c'è bisogno di 25 miliardi in due anni.
Crediamo che sia essenziale, a questo punto, avere il coraggio di dire la verità agli italiani.
La prima questione da dire è che cresciamo troppo poco e da troppi anni. Anche quest'anno cresceremo al massimo di un punto percentuale.
Poi c'è la spesa pubblica. Quella italiana è in aumento. Nel solo 2009 la spesa pubblica è stata pari a 52 punti percentuali del prodotto interno lordo, con un aumento di tre punti rispetto al 2008. Questo indicatore include anche la spesa per interessi che da sola è pari al 4,6% del Pil. Sottraendola alla spesa pubblica, avremo circa il 48% del Pil: un record assoluto nella storia della Repubblica Italiana.
Questo ci dice che la destra al Governo fa aumentare la presenza dello stato nell'economia, fa aumentare la spesa pubblica e riduce la spesa corrente.
Il terzo punto su cui riflettere è che di fatto abbiamo dilapidato l'intero risparmio di spesa che c'era derivato dall'ingresso nell'euro. Con l'entrata nella moneta unica l'Italia aveva beneficiato di tassi di interesse più bassi rispetto al passato e questo risparmio lo abbiamo completamente bruciato. Non lo abbiamo più.
Un elemento di preoccupazione, a questo punto, è dato dal fatto che i tassi stanno per tornare a crescere e questo avrà un inevitabile impatto negativo sulla spesa pubblica.
E' il momento di dire agli italiani che l'economia non cresce, che siamo messi peggio degli altri Paesi, che la spesa pubblica è arrivata a un livello insostenibile, che probabilmente ci sarà un effetto negativo legato ai tassi.
E' indispensabile che il governo si presenti alle Camere e ammetta la necessità di un piano di risanamento della finanza pubblica (ma non un provvedimento abborracciato come quello che sta preparando Tremonti) e di un piano per consentire all'economia italiana di ritornare a crescere.
Noi pensiamo che il Governo non avrà il coraggio di parlare agli italiani e continuerà a raccontare favole con grave pregiudizio per le prospettive nostre e dei nostri figli.

lunedì 10 maggio 2010

I golpisti del mercato

Rinaldo Gianola sull'Unita' del 9 maggio 2010.

Il problema, dunque, non è solo la Grecia. La crisi non è riconducibile esclusivamente ai conti fuori controllo dei greci ai quali i giornali tedeschi suggeriscono di vendere l’Acropoli per rispettare i sacri parametri di Maastricht. Nel giro di tre giorni l’Europa è passata dalle difficoltà «circoscritte» di un singolo paese, il più debole sotto il profilo finanziario, a una «crisi sistemica», parole del presidente della Bce Trichet, che mette in discussione non solo gli eredi della dracma ma l’intera costruzione dell’Unione e della moneta unica. In poche ore le fiamme e le tragiche violenze di Atene sono passate quasi in secondo piano rispetto alla destabilizzazione che dai mercati è salita fino alle cancellerie che, solo dopo l’intervento preoccupato del presidente Obama su Angela Merkel, hanno deciso di ritrovarsi per il week end a Bruxelles per decidere un piano straordinario di interventi.

Non sappiamo se le misure decise stroncheranno l’attacco della speculazione dei mercati ai governi, all’Unione e all’Euro. È certo, tuttavia, che anche questo maxi piano dell’Europa non risolverà i problemi di fondo, non disinnescherà la bomba che due anni fa è esplosa negli Stati Uniti provocando la prima grande crisi dell’economia globale e che oggi si presenta con la miccia accesa nella vecchia Europa. Nel settembre 2008, quando Wall street visse il dramma storico del fallimento della Lehman Brothers, tutti, ma proprio tutti si impegnarono a limitare le invasioni della finanza, il suo dominio incontrastato sull’economia reale, sull’industria, l’occupazione. Governi e leader politici giurarono, allora, di voler invertire la rotta, di bloccare il gigantesco trasferimento di ricchezza dal profitto, dal lavoro alla rendita finanziaria. La distorsione dell’economia, emersa in modo drammatico due anni fa, avrebbe dovuto essere affrontata con un riequilibrio profondo tra risparmio e investimenti e soprattutto le autorità di governo e quelle che vigilano sui mercati e sulla concorrenza avrebbero dovuto intervenire con provvedimenti rigorosi e coerenti per smontare i giochi perversi della finanza.

Ma poco è stato fatto su questo fronte perchè fortissime sono le resistenze del mondo finanziario e spesso deboli e miopi sono le azioni politiche. Obama, che rappresenta per molta parte del mondo ancora una speranza di cambiamento, ha implorato le lobby delle banche e delle assicurazioni a non ostacolare la sua riforma dei mercati e della finanza. Ma nemmeno Obama è riuscito a sfondare in un sistema, come quello Usa, dove uno può fare il ministro del Tesoro e poi guidare serenamente la Goldman Sachs e viceversa. Quello che viviamo oggi in Europa e che preoccupa la Casa Bianca non è solo la speculazione contro governi o monete deboli, d’altra parte la speculazione - lo insegnano persino nelle università - è parte integrante dei mercati e del loro funzionamento.

C’è una patologia di fondo che sta nel Dna del sistema, per cui il denaro serve solo a creare altro denaro. I golpisti della finanza attaccano gli stati grazie alle armi che gli stessi stati hanno messo loro a disposizione.

Per fronteggiare la crisi del 2008 i governi erano intervenuti per salvare banche, assicurazioni, intermediari, immettendo nel sistema cifre iperboliche. Almeno 3000 miliardi di dollari, denaro pubblico, sarebbero stati spesi per evitare il tracollo del sistema creditizio, ma anche della Chrysler di Sergio Marchionne, trasferendo così le perdite dal sistema privato a quello pubblico. La strada è stata seguita anche in Europa e i mercati finanziari che, fino al 2008, avrebbero speculato contro questa o quella banca o impresa considerata debole oggi si accaniscono contro gli stati e lo loro valute, partono dalla Grecia ma allargano facilmente l’orizzonte e mettono nel mirino l’intera costruzione della moneta unica europea.

Ma gli stati, la politica sono deboli, frammentati, gelosi dei loro poteri e interessi. Si muovono in ritardo, come è avvenuto in questi giorni in Europa dove la signora Merkel (che non è Khol) era preoccupata per l’impatto degli aiuti alla Grecia sul voto regionale in Germania. Mentre l’Europa balbetta, sull’altro fronte invece c’è una corporation planetaria formata da potenti banche d’affari, proprietari e promotori di hedge funds e di strumenti derivati che non rispondono a nessuno, se non ai propri azionisti, il cui unico obiettivo è quello di produrre soldi dopo altri soldi, di alimentare senza ritegno la corsa delle stock options dei propri managers. Quante volte, negli ultimi anni, il mondo si è dovuto confrontare con queste crisi, con il fenomeno della “speculazione” che sarebbe la parte più cattiva, deviante, di un sistema che ai più sembra ancora buono? Ci sono stati gli scandali dell’epoca Bush, come la Enron e la WorldCom. Poi i subprime, la caduta delle grandi banche e di conseguenza la recessione, il crollo dell’economia, la perdita di milioni di posti di lavoro. Ma, dopo le tragiche esperienze del passato, poco è cambiato visto che ancora oggi gli strumenti della speculazione valgono 4 o 5 volte l’intero Pil mondiale.

Il presidente Obama è intervenuto con forza sull’Europa affinchè si muovesse con provvedimenrti straordinari perchè la Casa Bianca non vuole ripetere il dramma del 2008 e l’attacco alla Grecia e poi all’Europa ricalca lo stesso schema, minacciando la possibile ripresa internazionale. In aprile negli Statio Uniti sono stati creati 290mila nuovi posti di lavoro, da quattro mesi c’è un leggero miglioramento che Obama non vuole assolutamente pregiudicare con un’altra crisi finanziaria. Dal 2008 ad oggi gli Stati Uniti hanno perso circa otto milioni di occupati. ci vorranno anni per recuperarli. La preoccupazione di Obama è giustificata. Un timore che dovrebbe essere prioritario per tutta l’Europa e, in particolare, per l’Italia.

Il prevalere degli interessi finanziari, o chiamamola pure della speculazione, rispetto alla tutela degli investimenti, della produzione, del lavoro è l’elemento costante di questi anni e anche di questa crisi. La finanza domina i mercati, ricatta i governi e impone una ristrutturazione delle attività industriali da cui raccogliere altri profitti: un processo politico globale che colpisce soprattutto il mondo del lavoro, i sindacati e si potrebbe aggiungere anche la sinistra. Dopo due anni di crisi, dopo la caduta di simboli storici del capitalismo, dopo le copertine dei settimanali americani che invitano a leggere Carlo Marx, non è cambiato nulla. Siamo ancora qui a registrare il trionfo della finanza e la sconfitta della politica e del lavoro. Questa è la realtà.

GLI EFFETTI DELLA CRISI GRECA.

Sandro Trento Italia dei Valori 9 maggio 2010.

Parliamo della situazione molto difficile che si sta creando sui mercati finanziari, in particolare in Europa, con riferimento alla crisi greca. Ieri, sei maggio, si ha avuto una giornata nera nelle borse europee, in particolare la borsa di Milano ha perso il 6%, una perdita molto grave, in seguito ad un rapporto da parte di Moody's, l'agenzia di rating internazionale, che lanciava un allarme per il rischio di un contagio della crisi greca verso altri Paesi, come il Portogallo, l'Irlanda, la Spagna, il Regno Unito e anche l'Italia.
Le banche di questi Paesi potrebbero risentire rapidamente delle difficoltà nate in Grecia per una serie di ragioni. Le banche di questi Paesi sono molto grandi, rappresentano una quota molto rilevante della ricchezza nazionale, per avere un idea l'attivo delle banche in Gran Bretagna è pari a circa 4 volte il Prodotto interno lordo della Gran Bretagna, in Spagna 3 volte il Prodotto interno lordo, cifre molto rilevanti. Questo fa si che quando si hanno dei rating, dei voti, o con riferimento al sistema nazionale, quindi al Paese, o con riferimento alle banche, si possono avere degli effetti negativi a vicenda. Se si ha un giudizio negativo su una grande banca si ha un giudizio negativo sul Paese e viceversa.
Un secondo riferimento è quello legato alla bolla immobiliare, scoppiata nel 2007 con il grande sviluppo dei mutui per l'acquisto delle case, che in alcuni Paesi aveva raggiunto dei livelli molto importanti. Per fare un esempio, in Irlanda il debito medio delle famiglie è pari a due volte il reddito annuo delle famiglie stesse. Una famiglia che guadagna in un anno 100 ha un debito di 200, un debito molto rilevante. In Gran Bretagna parliamo di un rapporto del 130%. Stiamo parlando di Paesi nel quale il settore privato, e in particolare le famiglie, si sono molto indebitate per ragioni anche legate all'acquisto delle case.
La situazione secondo Moody's potrebbe essere quella in cui la crisi della Grecia, l'eventuale rischio di fallimento della Grecia, potrebbe travasarsi tramite il crollo del valore dei titoli del debito pubblico greco negli attivi delle banche dei Paesi europei creando un effetto a valanga. Questa dichiarazione di Moody's ha scatenato un ondata di vendite sui mercati finanziari e ha colpito anche la borsa di Milano. Non vogliamo essere allarmisti, crediamo che la situazione italiana non sia una situazione del tutto confrontabile sotto alcuni profili con quella dei Paesi che vi ho citato. Per fare un esempio, il debito delle famiglie italiane è molto più basso del reddito delle famiglie irlandesi, spagnole o inglesi. Per dare un numero, in media il debito delle famiglie italiane è inferiore al 50% del Prodotto interno lordo. Anche il peso per le banche, sul Prodotto interno lordo, è molto più piccolo. Le nostre banche, in media, sono più piccole rispetto alle banche spagnole, inglesi e cosi via. Non dobbiamo lanciare allarmi non fondati.
L'altra considerazione da fare è che per quanto riguarda la diffusione dei titoli del debito pubblico greco, le banche italiane ne hanno una quota molto più piccola rispetto alle banche tedesche o francesi. Nello scenario in cui questi titoli scendessero radicalmente di valore, avrebbe un impatto molto più basso sul sistema bancario italiano. Ma la questione italiana a cui dobbiamo tenere sotto controllo è quella legata al debito pubblico italiano, che in questo anno tocca il 115% mentre l'anno prossimo potrebbe toccare il 118%. Purtroppo il Governo italiano ha presentato la relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica, dove abbiamo appreso che il Governo si attende una stabilizzazione del debito pubblico italiano sul livello pari al 117% del Pil nel 2012, quindi sostanzialmente l'impressione che abbiamo è che si considera come obiettivo stabilizzare il debito pubblico ad un livello altissimo, paragonabile a quello della crisi che l'Italia ebbe nel 1992. Questa stima si basa anche sull'ipotesi di crescita dell'Italia, che a mio avviso sono abbastanza ottimistiche, tenendo conto delle difficoltà di questo momento legate anche alla crisi greca.
E' vero che le famiglie italiane sono meno indebitate rispetto a quelle degli altri Paesi, è vero che le banche italiane hanno meno titoli greci nel loro portafoglio, è vero che le banche italiane sono più solide di quelle degli altri Paesi, ma resta il grave problema della finanza pubblica italiana, in particolare di questo enorme debito pubblico che abbiamo accumulato.
Per evitare davvero il contagio, per evitare che la “malattia” greca possa attraversare il Mediterraneo e arrivare a Roma, è indispensabile che il Governo attui al più presto quelle riforme che da tempo chiediamo come Italia dei Valori. Riforme che facciano crescere l'economia italiana, come la liberalizzazione dei servizi, come una nuova regolazione delle professioni, completare una riforma del mercato del lavoro che lo renda più funzionale ed efficiente, interventi sull'istruzione, ma soprattutto interventi che abbiano il coraggio di incidere sulla spesa pubblica nei prossimi anni, come provvedimenti che allunghino la vita lavorativa. Bisogna avere il coraggio, in questo momento, di essere anche impopolari per scongiurare un contagio greco. Bisogna farlo oggi prima che sia troppo tardi.
Stiamo aspettando con ansia che il Governo ci fornisca dei dati, delle stime concrete, su quale sarà l'effetto della riforma del federalismo fiscale sulla finanza pubblica. La nostra grande preoccupazione è che si possano nascondere delle vere proprie “bombe”, per capire se l'effetto sui conti pubblici del federalismo fiscale, che la Lega continua a chiedere, possano essere dirompenti sugli equilibri della finanza pubblica. Questo è il momento di tirare fuori questi dati, per spiegare ai cittadini italiani quale è il costo che si vuole scaricare sui conti pubblici legati ad un favore da fare alla Lega Nord. Questa è una delle questioni sulla quale vogliamo richiamare l'attenzione di tutti quanti.

sabato 1 maggio 2010

Ma noi ne usciremo meglio di altri – 11
da Phastidio.net del 30 aprile 2010

Pochi numeri, la sintesi di un problema che si aggrava di mese in mese. Come comunica oggi Istat, il numero di occupati a marzo 2010 è pari a 22 milioni 753 mila unità (dati destagionalizzati), in calo dello 0,2 per cento rispetto a febbraio e inferiore dell’1,6 per cento (-367 mila unità) rispetto a marzo 2009. Il tasso di occupazione è pari ad un disastroso 56,7 per cento (inferiore, rispetto a febbraio, di 0,1 punti percentuali e di 1,1 punti percentuali rispetto a marzo dell’anno precedente).

Il numero delle persone in cerca di occupazione risulta pari a 2 milioni 194 mila unità, in crescita del 2,7 per cento (+58 mila unità) rispetto al mese precedente e del 12 per cento (+236 mila unità) rispetto a marzo 2009. Il tasso di disoccupazione si posiziona all’8,8 per cento (+0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e +1 punto percentuale rispetto a marzo 2009), peggior risultato dal secondo trimestre 2002. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 27,7 per cento, con un calo di 0,4 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 2,9 punti percentuali rispetto a marzo 2009.

Il numero di inattivi di età compresa tra 15 e 64 anni, è pari a 14 milioni 907 mila unità, con una riduzione dello 0,2 per cento (-24 mila unità) rispetto a febbraio 2010 e un aumento dell’1,6 per cento (+239 mila unità) rispetto a marzo 2009. Il tasso di inattività è pari al 37,8 per cento (-0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 0,5 punti percentuali rispetto a marzo 2009).

Naturalmente, vi diranno che siamo messi meglio della media europea, che sta al 10 per cento. E non vi diranno nulla riguardo il fatto che abbiamo un tasso di attività che è di nove punti percentuali inferiore alla media Ue, situazione che tende a frenare l’ascesa della disoccupazione. Né vi diranno che abbiamo un ricorso alla cassa integrazione che non accenna a flettere, anzi che la cig sta lentamente trasformandosi in un ammortizzatore “a piè di lista”, gravando sempre più sulla finanza pubblica e riproducendo le condizioni degli anni Settanta, quando imprese decotte restavano in vita.

Né vi diranno che il numero di disoccupati tedeschi, in marzo (per rendere il confronto temporalmente omogeneo) era sceso dall’8,1 all’8 per cento, e che in aprile, dato comunicato ieri, si è ulteriormente contratto al 7,8 per cento. Se pensate che il dato tedesco derivi dal fenomeno dello scoraggiamento, ripensateci: il totale degli occupati tedeschi, a marzo, è cresciuto di 10.000 unità rispetto a febbraio.

Sono molte le cose che non vi diranno. Perché se ve le dicessero, esiste un’elevata probabilità che vi inquietereste.