mercoledì 19 agosto 2009

GIU' LA MASCHERA TREMONTI! ANALISI DEL DPF

Postato da Carlo Cipriani su Giornalettismo il 20 luglio 2009.

Non si finisce mai di imparare dal ministro dell’economia. Nel Documento di programmazione economica e finanziaria riesce anche a smentire se stesso, scrivendo un’analisi senza speranza e dettando una ricetta che fa paura: non fare nulla davanti a problemi giganteschi del paese.

Per mesi il governo ha detto di esser stato l’unico ad aver previsto la crisi (si vede: per il 2009 il vecchio Dpef prevedeva un +0,9%, quello attuale un -5,2%!), ad aver già “sistemato” i conti pubblici. Il governo ha anche detto in questi mesi che l’Italia ne avrebbe risentito meno di altri e che sarebbe stata la prima a riprendersi quando la congiuntura fosse tornata al bello. Per questo si sono fatti solo provvedimenti “tampone”. Chi affermava il contrario era uno iettatore, una cassandra o peggio. Adesso a certificare il disastro dell’economia italiana e dei suoi conti pubblici è proprio il Dpef.
I CONTI PUBBLICI – La strategia di non fare nulla, che in Conferenza stampa è stata definita virtuosa, è opposta alla considerazioni fatte nel Dpef. Questa brillante strategia di nascondere la testa sotto la sabbia di fronte ai problemi cronici dell’economia italiana, limitandosi a “concentrare e riallocare le poste all’interno del bilancio” senza fare riforme strutturali, anzi negandone la necessità nelle dichiarazioni è contraddittoria allo scrivere che senza di esse l’Italia non riuscirà a rimanere sugli obiettivi di convergenza. Controlliamo gli effetti della geniale trovata sui conti pubblici: ci sono alcune conferme ma anche qualche sorpresa, leggendo la Tav. III.6 (quella sui Conti pubblici). La conferma: per la prima volta nella storia, non esiste una manovra finanziaria che incide sui saldi di bilancio. La risposta a quell’analisi impietosa, alle prospettive di effetti permanenti della crisi economica sull’economia italiana e sui conti pubblici è NON FARE NIENTE. Ma in quella tabella ci sono anche delle “stranezze”.

I NUMERI CURIOSI – La prima è la riduzione del Pil nominale 2009 un po’ bassa rispetto alla Ruef di aprile 2009 e al PdS di febbraio. Tra il Pds di febbraio (previsione riduzione Pil reale a -2%) e Ruef (previsione riduzione Pil reale a -4,2%) il Pil nominale stimato crolla di 34 miliardi di euro. Nel Dpef (previsione riduzione Pil reale a -5,2%) ci si aspetterebbe un altro forte calo del Pil nominale, diciamo poco meno della metà. Invece il Pil nomianale si riduce di appena 8 miliardi di euro. Un “giochetto” che sembra fatto apposta per sovrastimare le entrate tributarie, e quindi rendere più “dolce” il già pesantissimo peggioramento del saldo di bilancio. La seconda è la sostanziale stasi della voce “salari e stipendi della PA”. Significa o che si prevede una consistente riduzione di personale (capito, precari?) oppure di non aumentare gli stipendi per i prossimi 3 anni, neppure del livello dell’inflazione (Bonanni è d’accordo? Ma lo legge il Dpef?). La terza è l’aumento della voce “acquisto di beni e servizi”, rispetto a quanto indicato nel bilancio programmatico del Dpef di un anno fa. Potrebbero aver agito gli stabilizzatori automatici (ma il Dpef afferma che essi sono stati lasciati agire soprattutto sul versante delle entrate), ma certo la differenza è notevole. O forse, in realtà è molto difficile modificare la traiettoria inerziale dei meccanismi di spesa. Per metterli sotto controllo servono decisi interventi, quindi c’è il rischio o di ulteriori squilibri del bilancio dello Stato o di un taglio consistente di alcune voci di spesa corrente nel prossimo futuro.

LE PENSIONI – In compenso, si vede chiaramente il peso sempre crescente delle pensioni tra le voci di bilancio. Sembrano inarrestabili, e rendono quindi più sconcertante l’assenza della previsione di una riforma a breve. Sembra di vedere Tremonti e Berlusconi ridacchiare e darsi di gomito mentre scrivono, a pag. 29 questa beffarda frase: “Va ricercato un confronto per individuare possibili percorsi di contenimento della spesa pensioni, ritenuto necessario e non rinviabile, quale intervento di prospettiva, da molte Organismi internazionali”. Ma chi scrive queste cose si vergogna, almeno un pochino? Mentre la spesa per pensioni passa da 223,4 miliardi nel 2008 a 266,1 nel 2103 nel 2009 (+43 miliardi di euro) resta quasi immobile quella per le altre prestazioni sociali. E vengono ridotti dal 2010 gli investimenti (gli interventi strutturali). Ma che razza di futuro immagina per l’Italia che ha i problemi scritti nel Dpef il governo che quel documento lo ha scritto e presentato al Parlamento?

LA FINE DEL DPEF – Tremonti lo ha ripetuto più volte: questo sarà l’ultimo Dpef. E’ uno strumento che non gli è mai piaciuto. Perchè costringe chi lo scrive a mettere nero su bianco come sta l’Italia e cosa si pensa di fare per risolvere i suoi problemi. E questo è ben diverso dal fare dichiarazioni roboanti alla stampa. Bisogna mettere in fila i numeri, e questo consente a chiunque ne abbia voglia di valutare la credibilità di un uomo di governo, la sua capacità di capire i problemi, la sua capacità di affrontarli. Da questo punto di vista, questo Dpef è perfetto. Certifica che il nostro uomo ha abbastanza chiari i mali dell’Italia, sa anche cosa si potrebbe fare per risolverli ma sceglie di non fare nulla. Per quale motivo, andrebbe chiesto a lui. Certo, così com’è il Dpef è uno strumento che non serve a molto. Ma, come si era detto qui qualche anno fa, “la soluzione non è di limitarlo a una o poche tabelle, né di abolirlo o rinviarlo a settembre. Va piuttosto ripensato alla luce delle mutate esigenze nel governo dei flussi di finanza pubblica“. E, ci permettiamo di aggiungere, far governare l’economia italiana a una persona seria. Anche di destra, ma seria.

LO SCENARIO MACROECONOMICO – L’analisi della situazione economica è impietosa. A pag.5 si avverte che “nei paesi più sviluppati la ripresa potrebbe essere disomogenea in relazione al diverso grado di esposizione alle cause strutturali della crisi. Resta da verificare se la ripresa anticipata dei paesi asiatici emergenti possa agire da volano per le aree più avanzate. Rimangono inoltre dubbi sulla solidità complessiva della ripresa ciclica mondiale, soprattutto in considerazione del probabile graduale venir meno dello stimolo fiscale e monetario”. Quindi, dice Tremonti, la ripresa sarà lenta, non sarà generalizzata, riguarderà più i paesi asiatici che gli altri. E non è scontato che sarà duratura, anzi ci sono rischi notevoli di una ripresa lenta e a singhiozzo. Il Dpef prevede infatti un aumento del commercio mondiale solo a partire dal 2011 e attorno al 5% annuo, quindi molto più lento del passato (prima della crisi era attorno al 9% annuo). E i paesi industrializzati, cioè noi e i nostri principali “clienti” cresceranno molto meno di prima. E l’Italia come è messa?

LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA – Continuiamo a leggere il documento di Tremonti: “In Italia l’attività produttiva, caratterizzata congiuntamente da forte propensione all’esportazione e da peso rilevante dell’industria manifatturiera sul valore aggiunto, ha particolarmente risentito del crollo degli scambi internazionali e della forte riduzione degli investimenti”. Ma come, non eravamo quelli messi meglio? Non proprio: nel 2008, anno in cui il commercio mondiale segnava comunque un +2,5%, le nostre esportazioni erano già a -3,7%. E in futuro, se il commercio mondiale crescerà a livelli molto meno intensi di prima (parola di Tremonti), come fa il Dpef a prevedere una ripresa della crescita del Pil italiano al 2% annuo dal 2011, se prima della crisi (quando il mondo cresceva del 9% annuo), l’Italia ristagnava allo 0,5% medio? Tremonti forse pensa ad una robusta ripresa della domanda interna. Ma non sembra, parola di Dpef: “i consumi risentiranno della caduta dell’occupazione” (ma allora i dati Istat sull’occupazione sono affidabili, ministro?). E per gli investimenti, Tremonti (Tav. III.5, pag. 27) stima l’importo del provvedimento di detassazione degli utili attorno allo 0,1% di Pil. Cioè niente, a meno di non pensare ad un effetto moltiplicatore keynesiano mai visto al mondo. E tenendo conto, è sempre il Dpef a parlare che “la riduzione degli investimenti è connessa ai bassi livelli di utilizzo della capacità produttiva, all’inasprimento delle condizioni del credito bancario e al calo della profittabilità delle imprese”. La previsione di aumento degli investimenti per il 2011 è molto ottimistica.

LE BUGIE DI TREMONTI – Non ci sono prospettive incoraggianti nell’analisi di Tremonti, e la previsione di crescita alta a partire dal 2011 è pure contraddetta dall’analisi del Dpef. Coincide con le molte analisi delle cassandre di questi ultimi mesi. Come si concili con le dichiarazioni superottimistiche del Ministro è un mistero. Ma c’è di peggio. Leggiamo cosa dice Tremonti a pag.36: “I risultati mettono in evidenza come la crisi stia dispiegando effetti di natura permanente, prevalentemente imputabili alla riduzione del tasso di crescita del PIL potenziale, sia sulle entrate, attraverso il deterioramento delle basi imponibili, sia sulla spesa primaria, peggiorando il saldo primario al di là di quanto ci si potrebbe attendere se si considerasse unicamente l’effetto degli stabilizzatori automatici”. Se questo è il suo pensiero, quando Tremonti dice alla stampa che noi siamo messi meglio degli altri, mente sapendo di mentire. Come fa a dire, visto ciò che scrive, che l’Italia non ha bisogno di riforme strutturali, che basta aspettare che passi la crisi e poi il paese ripartirà? Nel “suo” Dpef scrive: “Il ritorno a un sentiero di convergenza verso l’obiettivo di medio termine della politica di bilancio richiederà l’adozione di ulteriori interventi di risanamento fiscale”. Come il ministro possa giustificare la distanza tra questo Dpef e le sue dichiarazioni di stampa è un suo problema. Il fatto che non si decida a invertire la rotta, in un modo o nell’altro, è un problema di tutti gli italiani.

I CONTI PUBBLICI – La strategia di non fare nulla, che in Conferenza stampa è stata definita virtuosa, è opposta alla considerazioni fatte nel Dpef. Questa brillante strategia di nascondere la testa sotto la sabbia di fronte ai problemi cronici dell’economia italiana, limitandosi a “concentrare e riallocare le poste all’interno del bilancio” senza fare riforme strutturali, anzi negandone la necessità nelle dichiarazioni è contraddittoria allo scrivere che senza di esse l’Italia non riuscirà a rimanere sugli obiettivi di convergenza. Controlliamo gli effetti della geniale trovata sui conti pubblici: ci sono alcune conferme ma anche qualche sorpresa, leggendo la Tav. III.6 (quella sui Conti pubblici). La conferma: per la prima volta nella storia, non esiste una manovra finanziaria che incide sui saldi di bilancio. La risposta a quell’analisi impietosa, alle prospettive di effetti permanenti della crisi economica sull’economia italiana e sui conti pubblici è NON FARE NIENTE. Ma in quella tabella ci sono anche delle “stranezze”.

I NUMERI CURIOSI – La prima è la riduzione del Pil nominale 2009 un po’ bassa rispetto alla Ruef di aprile 2009 e al PdS di febbraio. Tra il Pds di febbraio (previsione riduzione Pil reale a -2%) e Ruef (previsione riduzione Pil reale a -4,2%) il Pil nominale stimato crolla di 34 miliardi di euro. Nel Dpef (previsione riduzione Pil reale a -5,2%) ci si aspetterebbe un altro forte calo del Pil nominale, diciamo poco meno della metà. Invece il Pil nomianale si riduce di appena 8 miliardi di euro. Un “giochetto” che sembra fatto apposta per sovrastimare le entrate tributarie, e quindi rendere più “dolce” il già pesantissimo peggioramento del saldo di bilancio. La seconda è la sostanziale stasi della voce “salari e stipendi della PA”. Significa o che si prevede una consistente riduzione di personale (capito, precari?) oppure di non aumentare gli stipendi per i prossimi 3 anni, neppure del livello dell’inflazione (Bonanni è d’accordo? Ma lo legge il Dpef?). La terza è l’aumento della voce “acquisto di beni e servizi”, rispetto a quanto indicato nel bilancio programmatico del Dpef di un anno fa. Potrebbero aver agito gli stabilizzatori automatici (ma il Dpef afferma che essi sono stati lasciati agire soprattutto sul versante delle entrate), ma certo la differenza è notevole. O forse, in realtà è molto difficile modificare la traiettoria inerziale dei meccanismi di spesa. Per metterli sotto controllo servono decisi interventi, quindi c’è il rischio o di ulteriori squilibri del bilancio dello Stato o di un taglio consistente di alcune voci di spesa corrente nel prossimo futuro.

LE PENSIONI – In compenso, si vede chiaramente il peso sempre crescente delle pensioni tra le voci di bilancio. Sembrano inarrestabili, e rendono quindi più sconcertante l’assenza della previsione di una riforma a breve. Sembra di vedere Tremonti e Berlusconi ridacchiare e darsi di gomito mentre scrivono, a pag. 29 questa beffarda frase: “Va ricercato un confronto per individuare possibili percorsi di contenimento della spesa pensioni, ritenuto necessario e non rinviabile, quale intervento di prospettiva, da molte Organismi internazionali”. Ma chi scrive queste cose si vergogna, almeno un pochino? Mentre la spesa per pensioni passa da 223,4 miliardi nel 2008 a 266,1 nel 2103 nel 2009 (+43 miliardi di euro) resta quasi immobile quella per le altre prestazioni sociali. E vengono ridotti dal 2010 gli investimenti (gli interventi strutturali). Ma che razza di futuro immagina per l’Italia che ha i problemi scritti nel Dpef il governo che quel documento lo ha scritto e presentato al Parlamento?

LA FINE DEL DPEF – Tremonti lo ha ripetuto più volte: questo sarà l’ultimo Dpef. E’ uno strumento che non gli è mai piaciuto. Perchè costringe chi lo scrive a mettere nero su bianco come sta l’Italia e cosa si pensa di fare per risolvere i suoi problemi. E questo è ben diverso dal fare dichiarazioni roboanti alla stampa. Bisogna mettere in fila i numeri, e questo consente a chiunque ne abbia voglia di valutare la credibilità di un uomo di governo, la sua capacità di capire i problemi, la sua capacità di affrontarli. Da questo punto di vista, questo Dpef è perfetto. Certifica che il nostro uomo ha abbastanza chiari i mali dell’Italia, sa anche cosa si potrebbe fare per risolverli ma sceglie di non fare nulla. Per quale motivo, andrebbe chiesto a lui. Certo, così com’è il Dpef è uno strumento che non serve a molto. Ma, come si era detto qui qualche anno fa, “la soluzione non è di limitarlo a una o poche tabelle, né di abolirlo o rinviarlo a settembre. Va piuttosto ripensato alla luce delle mutate esigenze nel governo dei flussi di finanza pubblica“. E, ci permettiamo di aggiungere, far governare l’economia italiana a una persona seria. Anche di destra, ma seria.

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